Il caro energia sta mettendo a dura prova i conti delle aziende, dall’industria manifatturiera fino alle attività commerciali, andando ad aggravare una situazione già minata dalla pandemia da Coronavirus e dai lockdown. Con l’aiuto dei numeri che arrivano dalle associazioni di categoria, scopriamo come impattano gli attuali costi energetici sulle imprese italiane.
Nell’ultimo anno sono aumentati i costi di tutte le materie prime, ma per quelle energetiche il balzo è stato decisamente inconsueto, come analizza il Centro studi di Confindustria nella sua analisi sui rincari delle commodity. In particolare, per il gas naturale il prezzo all’ingrosso è passato da circa 20 c€/Smc di gennaio 2021 fino ai 120 c€/Smc di dicembre (con punte giornaliere che hanno raggiunto 180 c€/Smc). Anche il prezzo dell’energia elettrica ha registrato valori record: in dicembre ha raggiunto la media mensile più elevata da quando la borsa elettrica italiana è stata costituita, superando 280 €/MWh: un rincaro del +450% rispetto a gennaio 2021. Per la manifattura italiana tutto questo si è tradotto in un fortissimo incremento dei costi per la fornitura di energia, passati dagli 8,1 miliardi del 2019 (soli 5,7 miliardi nel 2020 per l’effetto pandemia) ai 21 nel 2021. E si prevede che nel 2022 si arriverà a ben 37 miliardi.
A fare le spese del caro energia sono soprattutto le imprese industriali e, in particolare, i settori più energivori: la lavorazione di minerali non metalliferi (cemento, ceramica, ecc., con un costo energetico pari all’8% dei costi di produzione), la metallurgia (11%), la chimica (14%), la lavorazione della carta e del legno (5%), la gomma-plastica (5%). Queste percentuali, tra l’altro, non considerano gli aumenti avvenuti nel 2021, che hanno ulteriormente alzato il peso specifico dei costi energetici su quelli complessivi. Per tali comparti, il caro-energia si traduce quindi in una forte erosione dei margini operativi.
Confindustria osserva che gli aumenti sono insostenibili in termini di competitività per le imprese italiane ed è fondamentale intervenire. Mentre il Governo ha appena introdotto nuove misure di sostegno (probabilmente insufficienti) le imprese energivore devono pensare a perseguire una maggiore efficienza energetica nella produzione.
Anche le imprese più piccole, però, sono fortemente colpite dai rincari energetici. Come osserva Confartigianato, i piccoli imprenditori sono penalizzati da una distribuzione iniqua degli oneri di sistema (che finanziano per il 49%), dedicati tra l’altro proprio alle agevolazioni per le aziende energivore, oltre che al sostegno alle fonti rinnovabili e ai i bonus sociali. Questa iniqua distribuzione del carico contributivo gonfia del 35% il costo finale dell’energia per le piccole imprese che finiscono per pagare l’elettricità 4 volte di più rispetto a una grande industria.
Come gli altri Paesi europei, anche l’Italia sta mettendo in campo alcune misure per contrastare il caro energia. Il Governo ha stanziato finora 8,5 miliardi di euro, a benefico soprattutto delle famiglie (1,2 miliardi a luglio, 3,5 a ottobre e 3,8 nella Legge di bilancio). L’ultimo intervento, invece, è diretto supportare le imprese.
In particolare, il 21 gennaio il consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto “sostegni”, che stanzia 1,7 miliardi per il primo trimestre di quest’anno (gennaio-marzo 2022), così ripartiti:
Dal 1 febbraio al 31 dicembre 2022, inoltre, è prevista una misura di compensazione per il prezzo dell’energia prodotta dagli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, che andrà a colpire i “profitti extra” realizzati da impianti fotovoltaici, eolici, idroelettrici e geotermici. Una misura che ha già sollevato molte polemiche.
Intanto c’è chi osserva come gli aiuti messi in campo per imprese e famiglie siano insufficienti: a fronte di un rincaro di luce e gas che per il 2022 ammonta a 89,7 miliardi, servirebbero ad abbattere i costi solo del 6%. La coperta, insomma, è decisamente corta.