L’Emission Trading Scheme limita a livello europeo le emissioni di gas serra nei settori ad alta intensità energetica. Coinvolge 11.000 siti industriali, di cui 1.200 in Italia: chi è virtuoso, può guadagnare dalla vendita dei “carbon credit”.
Tra gli strumenti messi in campo dall’Europa per contrastare i cambiamenti climatici, ce n’è uno che favorisce gli interventi di efficientamento delle industrie a più alta intensità energetica.
Si chiama Emission Trading Scheme, ETS abbreviato, ed è stato introdotto in Europa per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 previsti dal protocollo di Kyoto.
Il sistema ETS è regolato dalla Direttiva 2003/87/CE, poi modificata dalla Direttiva 2009/29/CE recepita in Italia con il decreto legislativo n. 30 del 13 marzo 2013. È attivo in 31 paesi (i 28 dell'UE oltre a Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e riguarda:
Complessivamente, il meccanismo ETS coinvolge circa 11.000 impianti e il 45% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione.
In Italia si tratta di 1.200 siti responsabili del 40% delle emissioni di gas serra nazionali. Sono esclusi impianti con emissioni inferiori a 25.000 tonnellate di CO2 equivalente e gli impianti di combustione con potenza termica sotto i 35 MW.
L’Emission Trading Scheme è un meccanismo di tipo “cap and trade” da non confondere con la “carbon tax” che sta tornando in auge recentemente a livello europeo (ma che non è mai stata applicata).
Il termine “cap” significa che viene fissato un tetto massimo europeo alle emissioni dei gas a effetto serra, assegnando un corrispondente numero di quote di CO2 o “carbon credit” (1 quota = 1 ton di CO2eq).
Per poter emettere gas a effetto serra, le aziende coinvolte devono ottenere un’autorizzazione rilasciata dall’Autorità Nazionale Competente (ANC) che assegna loro un numero di quote corrispondente alle emissioni calcolate sui benchmark degli impianti più efficienti.
Le quote sono assegnate in parte gratuitamente oppure sono acquistabili sulle aste pubbliche europee.
Ogni dodici mesi i soggetti obbligati devono comunicare le proprie emissioni calcolate sull’anno solare precedente, certificate da un organismo indipendente.
Se un’azienda è virtuosa, ossia emette meno CO2 rispetto alle quote in suo possesso, può rivendere quelle eccedenti su uno specifico mercato che funziona esattamente come una borsa finanziaria (da qui il termine “trade”) oppure può mantenerle per coprire il fabbisogno futuro; per contro, chi inquina di più rispetto alle quote possedute deve acquistarne di nuove per compensare l’eccedenza.
Se un’azienda non restituisce l'esatto ammontare di quote, è soggetta a specifiche sanzioni per ogni tonnellata di CO2 non coperta.
A causa dell’assegnazione gratuita, le quote del sistema ETS vengono definite come “permessi a inquinare”.
Ma c’è una ragione che motiva i permessi gratuiti.
L’intento, infatti, è quello di scongiurare il rischio della delocalizzazione della produzione industriale in Paesi caratterizzati da normative ambientali meno stringenti di quelle europee (una pratica definita carbon leakage o fuga di carbonio).
Inoltre, il sistema nel tempo è stato modificato prevedendo che il tetto complessivo di quote diminuisca determinando l’abbassamento delle emissioni, e sono stati introdotti meccanismi di compensazione per mantenere al di sopra di una certa soglia i prezzi delle quote di CO2 sul mercato (prezzi troppo bassi penalizzano ovviamente gli investimenti in inefficienza).
In particolare, il quadro legislativo della fase IV del sistema ETS (2021-2030) definito nel marzo del 2018 prevede che: