Blog dell'Efficientamento Energetico per le Aziende

Quanto costa l’energia alle imprese italiane? Ecco la differenza con l’Europa

Scritto da Industriale Viessmann | 22 giugno 2020

Secondo i dati Eurostat relativi al 2019, l’Italia è il secondo paese europeo dove l’elettricità per le imprese è più cara. Pesa soprattutto la componente tasse, che è costantemente aumentata dal 2008 a oggi.

Con la chiusura delle attività produttive, il Coronavirus ha determinato anche in Italia un improvviso abbassamento delle quotazioni dell’energia. Ma si tratta di un fenomeno temporaneo destinato a invertire la rotta e a fare presto marcia indietro, alla ripresa piena dei consumi.

Nel medio-lungo periodo, quindi, l’emergenza non inciderà positivamente sulle bollette delle imprese italiane, da sempre tra le più alte d’Europa.

I motivi del caro energia nazionale sono storici, legati alle modalità di approvvigionamento di energia primaria da parte del nostro Paese e, soprattutto, alla stratificazione di accise e tasse che appesantiscono la bolletta.

La penalizzazione rispetto ai nostri vicini europei riguarda soprattutto le famiglie e le piccole medie imprese, ossia chi ha attivi contratti di fornitura sul mercato libero, perché le imprese energivore negoziano direttamente i propri approvvigionamenti con i fornitori e godono di importanti agevolazioni fiscali.

Sono soprattutto i prezzi dell'elettricità a rivestire particolare importanza per la competitività internazionale, poiché l'elettricità rappresenta di solito una quota significativa dei costi energetici sia delle industrie che delle imprese fornitrici di servizi. Contrariamente al prezzo dei combustibili fossili, che sono scambiati sui mercati globali con quotazioni relativamente uniformi, i prezzi dell'elettricità variano notevolmente tra gli Stati membri dell'UE. Vediamo quanto variano.

La classifica dei costi dell’energia per le imprese europee

A rimarcare le quotazioni penalizzanti del kWh in Italia nel periodo pre-crisi sono arrivati recentemente i numeri di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea. Questi dati, relativi al 2019, hanno importanza in vista della ripresa che attende l’economia. Ebbene, per i consumatori non domestici (imprese di medie dimensioni con un consumo annuo compreso tra 500 MWh e 2.000 MWh), il triste primato dei prezzi più alti dell'elettricità nella seconda metà del 2019 tra gli Stati membri dell'UE spetta proprio all’Italia, seconda solo a Cipro.

A fronte di una media dell’UE-27 pari a 0,1173 euro per kWh, come mostrato nella figura sottostante (fonte Eurostat), l’Italia si posiziona attorno a 0,16 euro/kWh e Cipro a 0,18.
Un nostro diretto concorrente nella manifattura, come la Francia, è nettamente più indietro in classifica, con un prezzo al kWh sotto i 10 centesimi di euro per kWh. Vantano quotazioni decisamente più basse anche Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Grecia, mentre in Finlandia, Svezia e Danimarca l’elettricità costa alle imprese meno della metà. Solo in Germania e nel Regno Unito i prezzi dell’elettricità per gli utenti non domestici si avvicinano a quelli italiani, attestandosi poco sotto i 16 centesimi/kWh.

 

Al di là del costo assoluto, un dato molto rilevante evidenziato dal grafico è l’incidenza della componente tasse rispetto al totale (la parte in rosa, che in Germania e Italia in particolare assume un peso sproporzionato rispetto agli altri Paesi). È una tendenza in crescita che prosegue da oltre un decennio e che purtroppo non è destinata a cambiare.

Tornando indietro negli anni, Eurostat evidenzia come, senza considerare le tasse, dal 2008 il prezzo dell’elettricità per le imprese sia aumentato in modo simile all'inflazione complessiva fino al 2012, quando ha raggiunto un picco per poi diminuire fino a 0,0772 euro per kWh, il 21 % in meno rispetto al 2008. Quello che è aumentato costantemente è l’incidenza delle imposte, passata dal 13,8% in media nel 2008 al 34,2% nel 2019.

Nella seconda metà del 2019, in particolare, la quota delle tasse di gran lunga più elevata si è registrata in Germania, dove le imposte e i prelievi non recuperabili rappresentavano il 56,3% del prezzo totale, superando di 13,8 punti percentuali la seconda quota più alta, in capo all'Italia, pari al 42,5%.

Il risultato complessivo di queste differenti dinamiche è che in Italia il prezzo complessivo dell’energia, comprese le tasse, in un anno di tempo (tra la seconda metà del 2018 e la seconda metà del 1029) è aumentato del 12,7%, mentre in altri Paesi, come Spagna o Belgio, è rimasto praticamente invariato, diminuendo invece nettamente in Danimarca, Norvegia e Polonia.

Come fare per porre rimedio a questa situazione che vede le imprese italiane penalizzate nella competitività internazionale? Oltre a cercare le condizioni contrattuali più convenienti in base al proprio profilo di consumo, è evidente che l’auto produzione dell’elettricità sia il mezzo più immediato per combattere il caro-energia.

Ovunque ci sia lo spazio, per esempio, è probabilmente arrivato il momento di valutare un impianto fotovoltaico, i cui costi di installazione si sono progressivamente ridotti nel tempo (per sapere tutto sull’argomento è disponibile la nostra "Guida agli impianti fotovoltaici nelle imprese").